Scrivo, triste, nella mia stanza quieta, solo come sempre sono stato, solo come sempre sarò. E penso se la mia voce, apparentemente così poca cosa, non incarni la sostanza di migliaia di voci, la fame di dirsi di migliaia di vite, la pazienza di milioni di anime sottomesse come la mia al destino quotidiano, al sogno inutile, alla speranza senza fondamento. In questi momenti il mio cuore palpita più forte per la coscienza che ho di esso. Vivo più, perché vivo più grande. Sento nella mia persona una forza religiosa, una specie di orazione, una somiglianza di clamore. Ma la reazione contro me proviene dalla mia intelligenza....
Sono le parole di Bernardo Soares queste, eteronimo di Fernando Pessoa, che scrive il libro dell'inquietudine. Non faccio un copia incolla perché non posso farlo. Parola dopo parola, riporto qui il suo pensiero.
E succede una cosa strana. Scrivo, e mi pare di tornare indietro nel tempo.
E succede una cosa strana. Scrivo, e mi pare di tornare indietro nel tempo.
Come per magia il computer diventa un lume, e le mie dita, che prima scorrevano lungo la testiera, adesso sporcano il foglio bianco di pensieri come penna e calamaio. Smarrito, perdo la cognizione del tempo e dello spazio. Metto in dubbio la mia vera identità.
Dove sono ?
Chi sono ?
Mi vedo al quarto piano in Rua dos Douradores, mi assisto con sonno; guardo, sul foglio mezzo scritto, la vita vana senza bellezza e la sigaretta economica che, nel fumarla, appoggio sul vecchio tampone della carta assorbente. Io qui, in questo quarto piano, a interrogare la vita! A dire ciò che le anime sentono! A fare prosa come i geni e le celebrità! Qui, io così...