Perchè creare un blog sulla poesia? Nessuno la legge. Mi sono detto. Poi mi sono accorto che più lo masticavo questo pensiero, e più lo digerivo. E, adesso che l'ho eliminato, mi sento finalmente pronto. Per una risposta. Scrivere di poesia è riconoscere il mondo sommerso che dà linfa all'altro mondo, quello che abitiamo. Questo blog vuole dare spazio alle parole. A quelle che diffondono e attraversano lo spazio come note. A quelle ancora nascoste.
Tra la cenere e la terra.
Non
ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade Ho tanta
stanchezza sulle spalle Lasciatemi cosi come una cosa
posata in un angolo e dimenticata Qui non si sente altro che
il caldo buono Sto con le quattro capriole di fumo del
focolare
-Giuseppe
Ungaretti-
Leggevo questa poesia di Ungaretti e mi dicevo che no, non può essere questo il mio Natale.
In questi ultimi giorni mi è capitato di rivedere gente che non vedevo da tempo, o persone che mi sembra di non abbracciare mai abbastanza, o persone che sono la mia famiglia e che posso mio malgrado vedere di rado...
Ebbene ho capito che esiste un movimento di convergenza degli affetti, una danza di sensibilità e apertura sincera, un suono che è una musica fin troppo inflazionata, ma mai abbastanza, una atmosfera insomma che chiamiamo Natale ma che si concretizza poco prima del 25, per l'esattezza un giorno prima, la vigilia di Natale, un giorno che si carica di ricordi, di nostalgia e di speranza...
Esiste un giorno che è il più bel giorno dell'anno, in cui l'amore vince sul cinismo e in dono riceviamo il corpo degli altri, la loro presenza. Esiste un giorno che è una comunione da celebrare, con gli altri, forse prima ancora con noi stessi.
Ecco, io vi auguro di festeggiarlo senza avere paura di emozionarvi...
E'
il 1945. Edith Piaf scrive la sua canzone più bella. Siamo alla fine
della seconda guerra mondiale. Il mondo è straziato dal dolore. Un
canto dalla Francia ci viene in soccorso. Con gioia, emozione,
delicatezza, forse un pizzico di ingenuità, una donna riparte insieme all'umanità, indicando la via... La vie en rose.
E' necessario stringersi attorno all'amore. Abbracciate il vostro
uomo. Amate, in lui, la vostra felicità. Si riparte sempre
dall'amore!, sembrava convincerci la Piaf.
13
novembre 2015. Il terrore decide di colpirci al cuore. Colpisce
Parigi. Sono sconvolto, non trovo più le parole. Mi sforzo di
capire, ma le immagini annebbiano i sensi. La crudeltà dell'uomo
distrugge perfino i pensieri. Puoi solamente stare lì, con gli occhi
sbarrati, e averepaura.
L'uomo
non è questo. Balle. L'uomo è anche questo. Homo homini
lupus. Non l'ho scritto io, ma qui, adesso, io mi sento di
gridarlo. L'uomo divora l'uomo. L'uomo azzanna i suoi stessi arti.
Affonda le mani nel suo petto, stringe le dita al cuore e poi lo
strappa via dalla gabbia toracica con una violenza tale che tutti i
vasi a esso collegati, come i fili di un computer, esplodono e
prendono fuoco. Morte, solamente morte appare come il
peggiore dei mali, scrivevo in una vecchia poesia. E non è vero.
La morte non è il peggiore dei mali.
Il
peggiore dei mali corrode la radice più profonda dell'uomo. E' il
terrore che ricorda all'uomo che può distruggersi, che può farsi fuori
in qualsiasi momento. Che non c'è differenza tra il bene e il male.
Che bene e male sono la stessa cosa.
"Secondo
Hobbes, la natura umana è fondamentalmente egoistica, e a
determinare le azioni dell'uomo sono soltanto l'istinto di
sopravvivenza e quello di sopraffazione. Egli nega che l'uomo possa
sentirsi spinto ad avvicinarsi al suo simile in virtù di un
amore naturale. Se gli uomini si legano tra loro in amicizie o
società, regolando i loro rapporti con le leggi, ciò è dovuto
soltanto al timore reciproco" (Tratto da wikipedia).
E'
così? Rispondetemi. E' così? Se così fosse, i terroristi non
sarebbero poi così diversi da chi impone al mondo intero la tirannia
del denaro. L'imperialismo capitalistico è la guerra dei potenti
contro i poveri. E' la terza, ma anche la quarta, la quinta, la sesta
guerra mondiale per numero di vite umane "sacrificate" alle
logiche di potere dei ricchi. Se così fosse, allora il terrorismo potrebbe essere un tumore che si sviluppa nello stomaco
di un uomo panciuto, grasso e soddisfatto di sé, per nulla attento
alla cura del corpo e dell'anima, per nulla sensibile alle ragioni
degli altri. Il terrorismo potrebbe essere la fine, sì. Ma di quale vita?
Tutta questa violenza, tutta questa violenza è il contrario dell'amore. La violenza è l'assenza delle parole che aiutano a comprendersi. La violenza è assenza di relazione.
Ho
paura, ma poi per fortuna vedo l'altro uomo. Quello
che si commuove alle manifestazioni di solidarietà. Quello che dà
il proprio sangue per salvare le vite umane. Quello che vuole
giustizia. Perfino quello che si tinge il viso di blu, bianco e
rosso. C'è un sentimento comune di umanità, un bisogno di
vicinanza. Una voglia di amare che è più forte di ogni religione.
E' la spinta alla vita come direbbe Hobbes, certo, ma forse è molto di
più...
E
allora Edith, oggi le tue note le porto al nostro funerale, ma come
farei con i semi gettati in un campo incolto. Con la speranza che
diventino fiori nuovi...
Rischio di scivolare sulla buccia di banana della banalità, perché quando si parla del rosso, di questo colore, si parla soltanto dell'amore.
E allora, queste sono per te.
Contenta? Adesso però strappo i petali delle tue rose, tolgo loro il tuo profumo, e sanguino per farlo.
Il "Piccolo Principe" si arrabbierà di certo. Mi pare già di sentirlo.
Tu guardi con i tuoi occhi principe, gli occhi emozionati delle lacrime, della purezza, dell'onestà. Io guardo con gli occhi di un uomo vinto dai sentimenti, meglio, dalla perversione dell'amore che si chiama odio.
...e ogni petalo sai,
si finge di essere una rosa...
Spazzo via tutte le parole, assieme alle note. Adesso niente ha più senso. Niente.
Voglio la poesia. Tutta quella che mi resta.
Non
amo che le rose
che
non colsi. Non amo che le cose
che
potevano essere e non sono state.
(Guido
Gozzano)
Principe, non rimpiango il tempo che ho perduto. Ma piango di felicità, per tutto il tempo che impiegherò.
Come il figliol prodigo mi riavvicino a te padre mio...
Rambrandt - Il figliol prodigo
Forse non sono stato il migliore dei figli, anzi, di certo non lo sono stato. Ma le tue mani luminose abbracciano lo straccio delle mie vesti assieme al corpo sofferente. Sento il tuo odore. E' l'odore della mia casa. Il centro della mia persona. Raggiungo te, e solo in questo modo raggiungo me. Nel tuo grembo mi ritrovo.
Rischiavo di perderti, senza chiederti perdono.
Ti amo con tutto me stesso, e con la forza della tua benedizione sollevo il capo. Sono pronto. Ho fatto la mia scelta. La tua benedizione sarà la mia accoglienza. Accoglierò ciò che la vita vorrà donarmi, e in questo modo donerò.
Attraverso te, padre, sarò fiero di me stesso. E non avrò più paura di amare o di essere amato, e non farò più nulla per meritare l'amore degli altri. Tu mi hai insegnato che l'amore è gratuito. Non ho niente da temere. Arriverà, perché adesso sono disposto ad accoglierlo. Saprò riconoscerlo.
E diventerò padre...forse, un giorno...
Si diventa padri in tanti modi. Ogni volta che impariamo ad amare e siamo disposti a lasciare libera la persona che più amiamo, diventiamo genitori. Impariamo il mestiere più difficile del mondo. Il mestiere dell'attesa.
Stasera ho un po' di tempo. Me lo sono ritagliato questo tempo, fatto di spazio e di lettura.
Uno spazio-tempo, certo, fatto anche di scrittura.
Le meccanica quantistica e la fisica classica descrivono le interazioni tra materia ed energia nel loro movimento attraverso il tempo e lo spazio. Ma c'è un punto in cui la fisica classica sembra fermarsi, ovvero al livello dell'atomo, direi, ancor più profondamente, a livello dell'animo, quando energia e materia cominciano a seguire regole diverse, idiosincrasie spiegabili solo attraverso principi nuovi, postulati di meccanica quantistica adatti a particelle atomiche e subatomiche, direi, ancor più profondamente, ai sentimenti.
Tre sono questi principi:
1) La sovrapposizione, per cui una particella può trovarsi in due o più punti o stati al contempo;
2) La correlazione o intreccio, per cui due particelle sono in grado di coordinare le loro proprietà nel tempo e nello spazio e comportarsi come un unico sistema;
3) Il problema della misurazione, per cui l'atto della misurazione o dell'osservazione altera ciò che viene osservato.
Più leggevo questi principi, più prendeva forma la poesia, e più pensavo. Pensavo che per studiare l'amore, la profondità del nostro sentimento, per scavare a fondo in quel barile che è la nostra anima, per arrivare oltre la profondità, al centro della nostra esistenza, per spaccare il nucleo congelato delle nostre paure, bisogna applicare questi stessi principi:
1) Perché in fondo siamo particelle capaci di piegare perfino lo spazio per stare con la persona che amiamo, anche quando si trova a migliaia di chilometri di distanza o siamo con altre persone, ché grazie all'amore possiamo essere in più posti, contemporaneamente;
2) Perché non importa lo spazio, e neppure il tempo. Quando amiamo, diventiamo un unico grande sistema, fatto di due particelle che, seppur a distanza, danzano, come per l'effetto di una musica udibile dagli amanti, e da loro soltanto;
3) Perché in fondo non si può e non si deve parlare di tutto questo, ché l'osservatore altera perfino la bellezza di ciò che è osservato, e le parole sono quel dito puntato verso la luna, non la luna, e se ci limitiamo a leggerle, come quando ci limitiamo a fissare il dito, rischiamo di perderci lo spettacolo muto delle stelle.
Se vi amate, se vi amate veramente, sappiate che c'è una legge fisica che vi guida. Non dovete fare altro che abbandonarvi a essa.
Ps: grazie a R. Ozeki (Una storia per l'essere tempo).
Torno a scrivere, e mi pare sia passato un sacco di tempo dall'ultima volta.
Torno a scrivere proprio quando più mi confondo col pensiero della solitudine. Un pensiero che è un atto fisico e vorrebbe quasi avere consistenza. E mi chiedo: la consistenza della solitudine può essere studiata?
Mai potrei studiare la solitudine a partire dalla definizione che ne danno le parole. Assieme, le lettere cancellano la solitudine del verbo, e più parole insieme fanno un popolo di ideali, valori e cultura. Nella solitudine tutto questo non c'è. Forse c'è un uomo nella solitudine, ma potrebbe anche non esserci. No, non può essere questa la strada da seguire se vogliamo imbatterci, almeno una volta nella vita, nel volto più crudo e realistico della solitudine. Potrebbe essere una persona la solitudine. Cioè avere un volto per davvero. Non è detto che questo volto sia il nostro. Mi tornano in mente alcune parole di Baricco, in sé inutili a rappresentare la solitudine, pur tuttavia utili a definire la cornice di senso entro cui la solitudine può trovare rappresentazione:
"Io
ti ho amato, André, e non saprei immaginare come si possa amare di
più. Avevo una vita, che mi rendeva felice, e ho lasciato che
andasse in pezzi pur di stare con te. Non ti ho amato per noia, o per
solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perché il desiderio di te
era più forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo che poi la vita
non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce
ad immaginarsi il desiderio. Ma non ho cercato di fermarmi, né di
fermarti. Sapevo che lo avrebbe fatto lei. E lo ha fatto. È
scoppiata tutto d'un colpo. C'erano cocci ovunque, e tagliavano come
lame".
Quindi la solitudine può inquadrarsi nello spazio di un amore straziato, impossibile, frustrato. Forse, ma non sempre. Qui si tenta di fare della solitudine un affetto. Possibilmente, si tenta di farne una mancanza, un vuoto senza consistenza, se scegliamo che il ricordo di un amore andato a male, sebbene con enorme sofferenza, altro non sia che un fantasma della nostra coscienza.
E allora quale strada seguire? La strada delle note forse. Assumono la consistenza del suono. In un certo senso, sebbene non possiamo visualizzarle, sono reali.
Chiedo a Yiruma di aiutarmi. Le sue note guardano alla luna. Sebbene sappiano di solitudine, queste note sono piene. Non fosse altro che della presenza di un astro, di un desiderio. E poi in fondo, come dice Bach, la musica serve a non sentir dentro il silenzio che c'è fuori...
Mannaggia a me, in che guaio mi sono cacciato!? Come si fa a studiare la solitudine diversamente?
Chiedo aiuto, e trovo un aforisma di Jim Morrison a darmi coraggio.
"La
solitudine è ascoltare il vento e non poterlo raccontare a nessuno”
Ecco, Jim si avvicina. C'è una sensorialità fatta di solitudine. Una sensorialità collegata a cuore e cervello. Sento che ci sono quasi.
Non ancora cazzo. Mi manca qualcosa, ma cosa? Forse una poesia.
Ha
una sua solitudine lo spazio, solitudine il mare e solitudine
la morte - eppure tutte queste son folla in confronto a quel
punto più profondo, segretezza polare, che è un’anima al
cospetto di se stessa: infinità finita.”
(Solitudine. Emily Dickinson)
No Emily, mi spiace, questa volta non mi basti. Non puoi uscirtene così. Certo, la solitudine è un'anima al cospetto di se stessa. E' un concetto in sé perfetto. Troppo.
Non so, forse ciò che mi manca è un colore. Sì, vorrei trovare un colore per la solitudine. Un colore che non sia il nero del lutto, e nemmeno il bianco della neve.
Non lo trovo, aahhh. Disperazione.
Ma forse ho capito. Ho capito cos'è la solitudine. Forse la solitudine non è altro che tutto questo. Forse, non è altro che l'impossibilità stessa del suo ritrovamento.
Si nasconde bene la solitudine. In questo senso, è, forse, il senso stesso della ricerca. Sì, dobbiamo cercarla la solitudine, per non trovarla se non fuori di noi... magari in un'altra solitudine.
Non diceva Rilke che l'amore è fatto di due solitudini che si custodiscono a vicenda?
Ma tua guarda. Alla fine la poesia mi frega sempre...
Il 26 febbraio il blog ha compiuto quattro anni. Ho provato una strana sensazione. Scrivo in questo blog da quattro lunghi anni. In queste pagine ho buttato cuore e cervello, spruzzi di sangue, fiumi di vino, mari e tramonti. Ho guardato con gli occhi di un bambino, quelli di un adulto, e perfino con gli occhi di rughe di un anziano. Mi sono commosso. Ho commosso.
Ho scritto per dare spazio alle parole, prevalentemente, ma ho scritto pure per nasconderle. Sì, ho nascosto le parole. Le ho nascoste perfino a me stesso. I lunghi silenzi tra queste righe sono stati punti. Chiusure di capitoli. La fine dei romanzi.
Non ho distinto, anzi, non ho voluto distinguere tra scrittura e vita, tra verità e rappresentazione, tra nero e bianco. Mi sono concesso perfino il lusso dei colori. Ho amato e sono stato amato. Ho vinto e ho perso. Sono morto perfino, e sono rinato. Ho sbagliato, tante volte, ma ho avuto ragione pure. Ho incontrato persone e fatti. Affetti. Mi sono abbeverato alle fonti di vita e di ebrezza. Sono stato felice, e ho sofferto. Quante battaglie vinte, quante cadute.
Continuerò a vivere allora. Perché per me vivere è scrivere. E scrivere è un po' come volare.
Che i versi di questo blog non si stanchino mai di prendere il volo.
Occorre volare
in questo tempo, dove?
Senz'ali, senz'aereo, volare indubbiamente:
ormai i passi passarono senza rimedio,
non elevarono i piedi del viandante.
Occorre volare a ogni istante come
le aquile, le mosche e i giorni,
occorre vincere gli occhi di Saturno
e stabilire lì nuove campane.
Ormai non bastan più scarpe né strade,
ormai non serve la terra agli erranti,
ormai attraversaron la notte le radici,
e tu apparisti in altra stella
determinatamente transitoria,
trasformata alla fine in un papavero.
Ma certo, festeggiamo i santi per celebrare l'amore. E San Valentino si infila i calzoni di San Faustino, e San Faustino risponde con una pernacchia. Entrambi ridono allegramente, e si fanno beffe di noi.
E' impossibile definire l'amore oggi. Quanti degli innamorati di ieri possono dire di amare oggi? Quante delle persone sole oggi, possono dire di non aver amato ieri, e di non volere più l'amore di oggi magari, o, pur desiderandolo ardentemente, quello di domani? Penso sia impossibile sfuggire alle regole dell'amore.
Impossibile sfuggire alle regole dell'amore dunque. Sì. Prendete me. Oggi qui da solo scrivo, e la nostalgia ha lasciato spazio a qualcosa di molto più profondo. Forse alla rassegnazione.
Ci sono amori che, semplicemente, non sanno camminare sulle proprie gambe. E cadono, cadono ogni volta. Sanguinano. Si rialzano e cadono. Inesorabilmente stanno lì a terra. E tentano, ma poi ancora e ancora. Di nuovo a terra.
Ci sono amori che non riescono a sfiorarsi senza divampare al contatto più doloroso delle ferite.
Sono amori in potenza, ma che non possono diventarlo. Amori come quello di Anna.
Può sembrare strano, ma ci sono amori che non possono stare con, e non possono stare senza.
A questi più tristi amori dedico le mie parole e i sentimenti di questa nobile canzone.
Buon San Vaustino a tutti.
Ps: raccogliamo la segnalazione di Carolina Nobile della Feltrinelli. Il 5 febbraio, la collana 100% digitale Zoom Poesia<http://www.feltrinellieditore.it/opera/collana/zoom-poesia/>, che attualmente comprende 10 titoli e nomi del calibro di Walt Whitman, Emily Dickinson e Edoardo Sanguineti, pubblicherà le prime due raccolte di poesie inedite in eBook: * Un quaderno di radici, Tiziano Fratus
* La voce dei grandi edifici, Gianni Marchetti
Mi pare una cosa interessante. L'ora della poesia da sempre appoggia le buone iniziative editoriali.